Panta Rei. Paesaggi dell’acqua

seminario a cura di 
Mariavaleria Mininni, Dicem Unibas
Annalisa Metta, Dip Architettura Università Roma Tre
intervengono i curatori Francesco Scaringi e Giuseppe Biscaglia

πάντα ῥεῖ «tutto scorre» era la preposizione con cui gli eraclitei esprimevano l’eterno divenire della realtà, paragonando quest’ultima a un fiume che solo apparentemente rimane uno e identico, ma che in effetti continuamente si rinnova e si trasforma, sicché non è dato tuffarsi in esso più di una volta, perché la seconda volta non è lo stesso fiume della prima. Ma anche noi non sia più gli stessi.

πάντα ῥεῖ ci conduce al concetto filosofico del divenire, opposto a quello di essere, quando questo ultimo sia concepito come eternamente immobile e sottratto a ogni mutazione. Questa immagine concettuale che costituisce l’antitesi di quella dell’assoluta eterna unità e immutabilità dell’essere, è una metafora adatta a spiegare il vacillamento della parola “paesaggio”, la sua continua instabilità. Nel pensiero moderno il divenire bergsonano diventa durata, slancio vitale, che sorregge la realtà e condiziona i suoi modi di apprendimento. Il progetto di paesaggio vive e si nutre di questa cornice concettuale e nella dimensione dell’acqua esprime la sua essenza e le sue potenzialità.

Matera come una scogliera, paesaggio morfogenetico dell’erosione, quella dello scorrere dell’acqua che scava in verticale, quella del ritiro dei mari nel processo di formazione delle terre emerse, come un moto di marea senza ritorno d’acqua.

Il pensiero geo-logico in cui si colloca questa esplorazione vuole coinvolgere studenti, cittadini, dilettanti del giardinaggio come pratica e di tutti coloro che assumono il giardino come nozione, per presidiare un’area della speculazione che consenta di coinvolgere il pubblico sulle questioni rilevanti che emergono nel dibattito filosofico e scientifico internazionale intorno alle epocali mutazioni dei rapporti – talvolta di forza – che si intrattengono tra umano e naturale.

A Matera la dimensione geologica costituisce un territorio mentale, ponendosi a metà strada tra ecologia e

antropologia, aprendo un confronto – impensabile come distacco dell’urbano dall’anti-urbano – tra natura e città e ribaltando l’idea di giardino come versione naturale dell’architettura.

I Sassi, ma anche i continui affioramenti delle fibre del carsismo sono immagine visibile di questa aporia, poiché mettono a nudo i termini della contraddizione tra architettura e giardino, tra la volontà dell’uomo di imporre un ordine basandolo sulla sua sensibilità e i fatti di natura sottoposti alle leggi del dinamismo naturale, poiché dimostrano l’inconciliabilità dei due termini, in quanto l’affermarsi dell’uno corrisponde alla perdita dell’altro. Sono una palestra mentale in cui ci si allena alla contaminazione tra naturale e urbano, attingendo al vasto repertorio di materiali e storie di cui la città dispone. Il giardino dei Sassi non è dunque una semplice forma di ospitalità della natura da parte dell’architettura, bensì l’espressione di un conflitto non dissimulato – la lotta tra pareti e roccia – che non rinuncia a essere un fatto urbano, sottoposto a una continua rinegoziazione di usi e significati, in uno scenario darwiniano che si costruisce sui livelli di sensibilità che esso saprà sollecitare.

Se i Sassi recuperano sul piano allegorico un’idea di giardino che non si pone come rimedio alla città allora, dentro una prospettiva sovra-paesaggistica, la nozione di giardino potrebbe mettere alla prova l’estendibilità del dispositivo di un progetto di città-natura, operando nella frammentazione dello spazio delle periferie, interpretando come giardini possibili gli affioramenti rocciosi negli spazi aperti che la città contemporanea non è riuscita a interpretare e nemmeno ad addomesticare.

La discussione prenderà le mosse su questi temi, esplorando concetti e progetti sull’acqua, utilizzando un materiale eclettico per comunicare la dimensione estraniante in situ e in visu del progetto del paesaggio.